Recensione di Marco Ercolani



Salvare le voci le mappe

Other Signs, Other Circles (Chelsea Editions, 2009, traduzione di Anamarìa Crowe Serrano) è un libro fluido e composito, traversato da un’energia psichica in costante sommovimento. Lo domina un io plurale, che da poesia a poesia sembra nascere e rinascere sempre, protagonista di una sua danza arcaica e rituale. I suoi temi  prediletti – l’insofferenza per l’orrore del mondo, la memoria come mitopoiesi, il femminile come rigenerazione, l’accettazione della morte, le magie luminose dell’infanzia, la parola come segno e il cerchio come condivisione – sono messi a fuoco da una scrittura disincantata, originale, slegata da nessi prevedibili, luminosa e divagante, che si esprime con “parole nude e disarmate, strappate al magma interiore dell’autrice e dispiegate al lettore secondo una ritualità laica, commovente” (Donato Di Stasi)”.

 

Ombra rifugio d’ombra scrivere nell’ombra

come sul pavimento di una cattedrale

a decifrare segni nel segreto

consunti per troppo amore

Scrivo in ginocchio

il gemito dei frutti al nascere

il rombo dei rami che sovrastano.

 

Annamaria Ferramosca descrive uno smarrimento panico sorvegliato dall’atto lucido della scrittura, un’estasi controllata dove il “pavimento di una cattedrale”, il “rifugio d’ombra”, “il gemito dei frutti” e “il rombo dei rami” indicano un movimento di “nascita”, evocato simultaneamente dai suoni e dalle immagini. “…se continuiamo a stupirci, se avvertiamo che sempre si risveglia qualcosa di nuovo e continuiamo a voler scambiare il nostro stupore, è come stessimo rinascendo. Per me la poesia è continua perdita e continua rinascita”

 

E mentre esci dal bar

addenti le parole

Lo scatto della fronte

sprofonda dentro la mia terra

dentro un progetto di leggero vivere

scrollando temporali

con la pazienza dell’arcobaleno

 

Il lettore si confronta con dei cortocircuiti emotivi, dove il “silenzio semiloquace” e la “semimuta parola” sono realtà vissute “fino all’intero”, proprio nel corpo del linguaggio, nel farsi della parola, nella costruzione della sintassi poetica. Non come progetto mentale che poi sarà rivestito di parole, ma come parola salda nella mente-corpo che la esprime, pensiero-parola alla perenne ricerca della sua visibilità, nell’incrocio di registri diversi che seducono il lettore con cadenze ipnotiche sottolineate da termini antichi o scientifici o da citazioni brevissime, in una sofisticata ibridazione di risonanze.

 

Energia palpabile di roccia, vibrata

da nodi antichissimi, disfatti

febbrili polso e dita

segnano l’aria di voli, di brusii

 

L’energia “palpabile” che emana dalle rocce, dai loro “nodi antichissimi”, trasforma il paesaggio terreno e quello umano. I voli, i brusii, non passano senza lasciare nell’aria delle tracce. Senza “segnarla”. La natura di questa poesia è sempre un nucleo pulsante, intransitivo, mitopoietico, fondato sulle aritmie della percezione. Scrive William Blake: “Se le porte della percezione fossero ripulite, tutte le cose sembrerebbero infinite”.

 

Al capolinea

ho salvato gli stracci più preziosi,

poche frasi e scarne,

capaci

di guidare il destino

Ora so riconoscere i miraggi

Ora so arrendermi

alle ombre di materia soffribile

Non temo

altri giochi brutali

e cammino

Un cammino placato

 

Prosciugare le metafore dagli eccessi barocchi per arrivare alle “poche frasi e scarne” di quello che ora è “un cammino placato”: ecco le “ombre di materia soffribile” che offre questa poesia, metafisica nel suo naturale esporre le consuete domande dell’uomo sul suo destino e carnale nelle sue suggestioni ritmiche, nelle sue pulsioni di danza. La natura della poesia è “melica”, e Ferramosca sottolinea questo essere voce della parola: “sappiamo come la lettura silenziosa non possa rendere, anche per un limite nella grafica fonetica, le vibrazioni di tono, il respiro, le pause, il volume. Il suono della voce, in poesia come in musica, è uno strumento che va oltre la nominazione, oltre la trasmissione dei significati”.

Rischiando di perderci dentro un’ebbrezza di cui talvolta ci sfugge il filo di Arianna, si incontrano in questo libro architetture verbali che mescolano l’ironia lieve del ricamo (“gli orli / sono ricamati di domande”) al gioco affilato del bisturi, all’irrompere del viaggio verso strade che si assomigliano o divergono, senza cambiare la mèta:

 

là devo accompagnare

tutti coloro che mi sono partiti

salvare le voci le mappe

i consigli di viaggio i contagi di luce

 

Questo “salvare le voci le mappe”, “i consigli di viaggio i contagi di luce”, ci porta al tema fondamentale del libro: i “segni” e i “cerchi”. Si usano le parole per dire, testimoniare, iscrivere un segno nella carta, nella creta, nella roccia, che è graffito della memoria, mappa visibile; ma come non arrendersi ai “contagi di luce” ed entrare in un cerchio comune che è condivisione e grazia? Essere in volo è anche cercare l’equilibrio del volo.

Il tormento – abbiate compassione –
è afferrarne i brani, separare
intraducibili note di silenzio
dai rumori terragni, attendere
che in alto appaia la fune scintillante
col trapezista assorto, che governa
insieme volo ed equilibrio, indica
‘esattezza del tempo

– Abbiate comprensione – brulica
di invisibili segni
il silenzio

In questa esattezza, sospesa tra volo ed equilibrio, in questa “fune scintillante”, che la poesia di Ferramosca si mostra, nella sua natura più autentica,  silenzio che brulica di “invisibili segni”.

tatuata casa-paese, che con noi cammina

ovunque, sotto l’unico cielo scritto dalle stelle

paesemondo

per vivere, con-vivere

La poesia è paese mondo,  “racconto vivo che non si ferma / oltrepassa i muri”. È sempre un “dipanare vita”, un portare con sé la propria casa, inscritta sulla pelle, ogni volta esponendola al “fuori” terribile o bellissimo del mondo.

Nel confondente richiamo delle pietre

dall’ultima riva     un brusìo

familiare soffia sulla nuca

sulle vele inarcate a proteggere

la mia traversata.

 

Questo “brusìo familiare” è, simultaneamente, le voci dei morti e dei vivi. Il canto del poeta è voce che sovverte, voce “d’Antigone disobbediente” che “scrive per dire no/ alla morte-per-uomo / scrive per chiedere”. In ogni poeta autentico, questa domanda non è solo domanda metafisica che risuona nel silenzio, ma domanda “per intimare al tempo di rispondere”. Qualcosa di luttuoso, di solenne, di carnale e di giocoso, abita i versi di Annamaria, che escludono a priori il semplice gioco verbale. “Chissà un giro di parole disseta”. Questa poesia costringe il lettore ad inoltrarsi in una lettura plurale e labirintica, perché ogni testo è finito è una forma conclusa, sì, ma un frammento aperto del libro, che procede per analogie, mosse laterali, squilibri fra sonno e veglia. A Ferramosca piace spesso chiudere le sue poesie con “quella specie di lampo sul verso finale, quel voler quasi isolare le ultime parole tra memorabilità e mistero”. Predilige anche abbracci voluti di parole, come “fendinuvole” e “asfaltocielo”.  “La fusione di termini – scrive Annamaria – è per me una possibilità lessicale dilatabile all’infinito, trovo che valore semantico e potere evocativo possono moltiplicarsi e assumere nuovo senso, diverso da quello dei termini usati singolarmente. Inoltre i termini polifusi conferiscono sonorità e ritmo particolari, nuovi, per la più vicina contiguità di certe aperture vocaliche o consonanze. Questa necessità interna è certamente barocca, (con quel meravigliosomorbido di pietra tenera che ha il barocco). Esiste una pre-lingua comune, un unico nucleo emozionale che trasporta da una lingua all’altra scintille capaci di riaccendersi”. Di questa pre-lingua la poesia di Ferramosca conserva le impronte reali nella sua scrittura. E di questa pre-lingua ogni critico dovrebbe parlare più spesso, senza essere travisato dai contenuti apparenti del testo. Lo stato di “incantamento” a cui ogni poesia conduce il lettore è orientato da queste arcaiche scintille linguistiche. La parola chiede al poeta una riformulazione spasmodica di se stessa, un suo tormentoso nascere e tornare dentro se stessa per ricostruire un destino sempre diverso, tra nostalgia e magia, tra vigilanza ed emozione.

Sempre, di un poeta, la prima cosa a colpirci è l’originalità del suo “tono”. Capita ad ognuno di noi di ascoltare una nota e di capire immediatamente a quale autore appartenga, anche se non sappiamo riconoscere il singolo brano. Riconosciamo non la melodia o i suoi timbri, ma proprio quell’atmosfera che potremmo definire il “tono” dell’autore. Alcune sospensioni timbriche ma pervase di melodia dell’ultimo Schubert sono molto diverse da certe audaci sospensioni tonali ma astratte dell’ultimo Beethoven. Ogni poeta dovrebbe pesare, misurare, studiare, approfondire il proprio patrimonio tecnico rispetto al tono che più lo seduce in poesia, non cercare ciò che a lui non compete, ma trovare ciò che a lui è consentito (direbbe Danilo Kis, ordinato), come un comando ascoltato nella scia delle parole. Ferramosca è esatta quando scrive:

 

Infine che cosa ho fatto se non

lasciarmi andare sulla scia dei nomi?

Amicheamici che mi aiutate a scenderesalire

gioisco del vostro tocco      non so darvi in cambio

che qualche ritmo e un brusìo

di un arrivo lontano

che già è partenza

 

Il tono del poeta è la “pazienza” di ascoltare/scoprire la propria voce, è una “luce sul confine tra carezza e lama”: di questa luce obliqua e sghemba è lui il responsabile.

Il linguaggio poetico di Annamaria assume toni di una sensualità acuta, morbida, struggente, che trova riparo (o forma) in una logica formale severa (ma leggera), con la quale non smette di comunicare.

 

Sonno infantile, lava che pietrifica

una fila di pietre da riscrivere

[…]

Così mi segui. IL sogno è un Librocielo

Noi sotto un planetario di manoscritti.

 

Ne nasce una scrittura metricamente oscillante, consapevole ma onirica, strana e familiare insieme, dove al linguaggio scientifico ed epigrafico si alternano magici ritmi di danza e cerchi streganti, come in un incendio mai spento le braci scintillano sempre. Commenta Antonio Fiori: «Ferramosca pratica una poesia originale e di grande effetto, […], una metapoesia scintillante, fatta di neologismi, improvvise aperture d’immagini, cadenze inusuali; l’autrice si interroga razionalmente (sulla scrittura, sul ritorno, sul futuro che attende) ma si abbandona anche al sogno, all’associazione libera, alla parte inconsapevole dell’io. Una voce poetica validissima, che coniuga ricerca e tradizione, canone e libertà».

 

Vorrei dirvi – no – piuttosto dirti

la mia poesia, vorrei

da te ascolto lancinante

risposta acuminata

come fossimo solo due

con l’oceano nel mezzo

e ti stessi scrivendo

la mia lettera estrema, di consegna

 

Ferramosca affonda la sua scrittura in “un labirinto in sinuosa traccia danzante / che di continuo inverte il moto”, e continua a scrivere ogni poesia come quella “lettera estrema”, quella “risposta acuminata”, che dal lettore non vuole altro che un “ascolto lancinante”.

 

E non so perché mi commuove

tutto di questo bus fendinuvole:

la marcia sul freno i sobbalzi il contrasto dell’aria

il riflesso sul vetro del pianto stellare

il turbine del sangue sottopelle

-nostalgia dele bigbang – se il cuore

sta meditando di rallentare, predisporsi al viaggio

 

Il “bus fendinuvole” dove sale il poeta al “capolinea paziente”, il privilegiato punto di osservazione da cui l’autrice assiste alla piccola folla composta che sale, all’inclinazione sottile dei loro corpi, smuove un “turbinio del sangue sottopelle” che, nella fisiologia dell’atto poetico, è insieme “nostalgia del big bang” e microcosmo tragico della nascita/perdita dell’io. E simultaneamente dolore del silenzio e necessità della parola.

 

Se è vero

che la parola nasce dal silenzio

voglio tacere. Fino

ad un silenzio compulsivo

Dopo

Dopo lo sperpero dei segni, dopo

la purificazione delle stanze, spenta

l’ultima scintilla sullo schermo

soltanto pietre

da interrogare

 

Come si interrogano le “pietre irremovibili?” Come si può osservare il “grido di Munch” nella figura del ragno pietrificato per sempre in una goccia d’ambra, il ragno che è “signore dell’equilibrio” e stratega del fulmine”? Solo scoprendo il “Vento bifronte ingannatore”, con cui Ferramosca, nella sua poesia, abbraccia vita e morte, movimento e  stasi, con la stessa, lieve, cantabile, luminosa passione.

Marco Ercolani

font: http://rebstein.wordpress.com/ La dimora del tempo sospeso, 8/12/2010

Le citazioni virgolettate, ove non si riporti il nome dell’autore, sono versi o dichiarazioni dell’autrice.