Recensione di Stefano Guglielmin


 Other Signs, Other Circles, Chelsea Editions, 2009, collana Poeti Italiani Contemporanei Tradotti, di Annamaria Ferramosca, trattiene nel titolo l’intenzione prima dell’autrice, mediterranea non solo di nascita, ma di vocazione, laddove la luce di Garcia Lorca si mescola ad un amore per la natura che è diventato professione. Segni, infatti, sono il versante visibile del vero, detto parafrasando il titolo del suo primo, tardo, libro (1999), le linee del contatto (porte, balconi, incisioni rupestri, ogni elemento, per quanto metaforico, capace di tenere aperta la relazione fra la singolarità e l’appartenenza all’anima mundi) che dischiudono il tempo dei vivi, polpa e palpito sotto la superficie muta degli elementi, anche di quelli dannosi per l’uomo come gli idrocarburi, «animule larvate di petrolio», che «il poeta sa riconoscere» per vocazione (da intendersi anche in senso calviniano, di Volontà divina che chiama all’accettazione del proprio mandato storico. Come dire: è il poeta l’umano più sensibile, e ciò per disegno metafisico). E’ questo doppio sguardo, caratterizzato dalla meraviglia e dal rigore, suo di biologa, a portala su quel versante, ed è la parola – quando sa essere «violino» (Rimbaud: «mi sono riconosciuto poeta […] tanto peggio per il pezzo di legno che si ritrova violino») – a tenerlo insieme in quanto soglia, segno, appunto, che custodisce il segreto della creazione e la sua tangibile cifra fenomenica.
Il Cerchio è la forma simbolica di quel luogo altro, il sacro di cui parla la storia delle religioni e che Ferramosca prova a ricostruire poetando, adunando altri esseri all’ascolto come attorno al fuoco della lingua, nel cui calore respira il cerchio primario, il grembo materno. Per questo, la sua poesia è un canto della prossimità come titola la raccolta inedita contenuta in Annamaria Ferramosca. La poesia Anima mundi (a cura di G. Lucini, Puntoacapo 2011), coniugato al plurale, canti, rifondazioni del tempo circolare, come l’anello della festa in cui ogni volta rinasce davvero il senso dell’essere qui, entro un tempo profanato dalla tecnica, ma non perduto, non appiattito in essa e per questo ancora pensabile.
Per fuggire il misticismo a cui una tal poetica potrebbe rinviare, scavalcando la soglia per abbandonarsi al Tutto indeterminato, del quale pur confessa la seduzione, la poetessa leccese fa leva sulla natura, sul di qua del versante, riconoscendo, per esempio, l’armonia universale nella musica terrestre dei cerchi che s’allargano nell’acqua, o nell’aria, come scrive pensando forse alla parola poetica gettata, come una pietra, nello spazio comunicativo: «Non ti resta / che lanciarle grida d’amore come sassi / nel centro esatto dei suoi cerchi d’aria»; ma anche, altrove: «La nostra piazza è centro che dilata / cerchi di parole», dove la comunità d’origine partecipa della forza magica della parola, specie quando, come nel testo in questione, si tratta di abbandonarla, di migrare per necessità. La «calda vita» sabiana, qui diventa «una calda coerenza / un racconto vivo» della gente a cui donarsi con passione, sentendolo proprio.
Sotto il profilo tematico è evidente, in tutta l’opera, la fedeltà ad una visione antropologica della vita, detta in uno stile negli anni sempre più denso, come bene spiega Annamaria Crowe Serrano nella introduction, sottolineando, specie negli inediti che chiudono Other Signs, Other Circles, oltre ad una maggiore attenzione alla contemporaneità, al vivere quotidiano e al tecnologico che la pervade, anche una ricchezza metaforica mai raggiunta prima e nuove soluzioni sintattiche che fluidificano il pensiero e la coscienza, trasmettendo così un senso del mistero capace di lasciare un ampio spazio interpretativo al lettore. Funzione prettamente poetica, in effetti, agita, mi pare, comunicando al lettore l’appartenenza d’ogni più piccolo evento (come la corsa di un autobus) a qualcosa di più grande, il cui significato, rinviando all’ordine universale, viene meno razionalmente ma non intuitivamente. Forse perché appunto ai poeti spetta la parola intermediaria fra la terra e il cielo, messaggeri degli dei fuggiti per gli uomini che non sanno guardare.
Stefano Guglielmin     blanc de ta nuque, 7 ottobre 2011

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