Recensione di Loredana Magazzeni


Poetessa di origine pugliese, ma romana d’adozione l’una, poetessa e traduttrice irlandese l’altra, Annamaria Ferramosca e Anamaria Crowe Serrano rendono doppiamente interessante, oltre che bilingue, questa ricca selezione dalle precedenti raccolte di Ferramosca (Il Versante vero, Fermenti, 1999, Porte, Edizioni del Leone, 2002, Curve di livello, Marsilio, 2006) e una serie di inediti, con testo a fronte e introduzione in inglese della Crowe.

Metodologicamente il libro si presenta come un lavoro di squadra, intessuto di reciprocità, reciproco riconoscimento, un dare/avere che arricchisce entrambe, autrice e traduttrice-curatrice, mettendole sullo stesso piano, non l’una in funzione dell’altra.

Immaginiamo come sia stato per Crowe Serrano estrapolare i testi chiave di Ferramosca, fare in modo che la sua poetica venisse messa in luce attraverso il dipanarsi nel tempo delle mitologie femminili della cultura classica, che tornano in moltissimi testi a ibridare il presente, contaminandosi e confliggendo con la contemporaneità, quella tecnologica e quella delle migrazioni e degli esodi. E immaginiamo poi come sia stata sua cura elaborare una lingua d’arrivo, l’inglese, che coniugasse ambiguità poetica e chiarezza traduttiva, per cui il “versante vero” diviene “the true side of the mountain”, conservando la magia dei neologismi nati dalla fusione di due o più termini, che riesce a riportare, per cui, ad esempio, “una linguasilenzio felicelarga piove” diviene “A languagesilence long and happy rains”.

Quella di Annamaria Ferramosca è una lingua dichiaratamente mediterranea, nel senso di deliberatamente intrisa di aromi, visioni, richiami ai suoi simboli ( frutti, mari, colori, nenie, spezie, canti) e, fra questi simboli, agli alfabeti delle culture antiche, cui il titolo del libro allude fin nella foto di copertina, dedicata alla Biblioteca di Alessandria d’Egitto.

Il mondo, dunque, è “un planetario di manoscritti” in cui un femminile forte originario viene evocato da una danza al ritmo dei tamburi, che percuote la terra fino a farla sanguinare. E’ la danza delle “vinte tarantole”, il cui ritmo vince la paura e sopravvive alle epoche, conservando nell’oggi la sua forza primordiale. In “Ninna-nanna all’incontrario, Lullabay wrong way round” è l’incalzante ritmo dell’esortazione “Dormi, Sleep” a evocare il potere tutto femminile di dire/dare un nome alle cose, che viene trasmesso di madre in figlio come un dono e una perdita: “Dormi/ Ti canto l’uomo/ Perdo/ le parole”. Così come, in “Metropolitana, Metro” un uomo e una donna intravisti conservano “La stessa grazia di quando maneggiavate l’ocra/ nel fumo delle grotte” e ogni momento è ancestrale, avviene nel tempo ininterrotto del mito (La mia parte d’Oriente). Il femminile della dea è presente nella ragazza la cui vita ha la stessa pienezza di un’arancia (La tua vita è un’arancia). Anche la figura di Arianna, come quella della dea, è una presenza costante, così come l’elemento acqua che si affaccia liquido nella sua pienezza sapienziale. Nella raccolta successiva, “Porte, Doors” si delinea con più chiarezza la volontà della voce di farsi parola, non solo ritmo e potenza. In “Parlare come nascere” la voce che giunge è quella femminile di una bimba, uno “squillo di bimba” e avere voce è nascere agli altri, nuovo: “Parlare come/ nascere agli altri, ogni volta,/ venire/ alla luce”.

L’allocuzione prevede autocoscienza e capacità di pregare (Scrivo in ginocchio), di riconoscere nell’oggi le tracce di ieri, come accade alle “animule larvate di petrolio “ di “Policiclici idrocarburi aromatici”. Evocano cicale al sole e l’immobilità delle estati mediterranee quei silenzi, quel “Farsi lucertola di/ pietra/ al sole”, mentre, porto del mondo, approdano oltre il Canale d’Otranto, i barconi della speranza. Anche in queste migrazioni risuona l’identificazione empatica di Annamaria: “Mi trovo in quella barca, sono/ albanese, pure/ messapicagrecaegizialibica”, così come il pianto della donna romena e di suo figlio, morti nell’incendio della loro baracca, o la gioia per la nascita della piccola Annina, figlia di Maria Grazia Calandrone.

Sensibile a tutto ciò che tocca il vivente e lo traduce in energia psichica, soccorrevole e amorosa: questa è la centralità della poesia, quella “curva di livello” cui Annamaria Ferramosca tende e a cui arriva soprattutto nelle poesie centrali della raccolta, fra cui quella dedicata alle “Grandi madri di Malta, Great mothers of Malta) stagliate in alto, nel nitore della nostra memoria simbolica, “ E noi, nel fondo, solo/ memoria di parole”.

Loredana Magazzeni  (Leggere Donna, n.150, gen-mar 2011)