la lingua che s’ammutina
sto per spegnere la televisione
lo speaker mi precede ammutolisce
immobile inespressiva maschera
si consacra al silenzio
la lingua che s’ammutina
sa
del respiro forte degli alberi
di cui parlano i sordi
una nuvola scivola tra i rami
e maturano allo stesso tempo i frutti
segretamente
alla password soffiata del contagio
la lingua che s’ammutina
sa
del mormorio animale
dei passi infiniti sulla pianura
tagli nell’orizzonte invisibili
la terra ne risuona e i miei polsi
al passo muto del tempo
nella stanza
un dente di latte cade
senza rumore né sangue
di voce attesa
una specie di lamento sottile
un gemito piccolo di gioia
come un timbro distorto per l’iridescenza delle acque
è la voce embrionale che attraversa la bolla salina
risuona nelle vene alla madre
e preme e le canta la sua elementare infanzia
chiede di sfolgorare in concerto nel giorno
dell’uscita luminosa quando
il minuscolo corpo verrà adagiato
sull’ addomepianeta che riconosce
l’emissione di onde alla madre si compie
per distacco di corone vocali sottili come aureole
e lei interpreta e trema e costruisce
un paesaggio di case-alberi-strade
divinazione al primo cammino
lei avvia un’assertiva preghiera
salute prima poi bellezza e buona sorte ex aequo
tutto accadrà dovrà accadere
per volontà- rito-destino
o solo
per un in-cantamento
maternale
mi sono coperta di sabbia
in empatia con l’isola che dorme
davanti a me: una donna-scoglio
la fronte alta contro le nebulose
la gola piena come in largo respiro
sazia del suo ventre in attesa
mi sono coperta di sabbia
a mimare il suo profilo
entrare nel suo tempo
– nove mesi come millenni –
ho atteso un battito un segno
( quel falco improvviso su di noi le sue frasi
in altissimi cerchi )
mi scrollo via la sabbia
cammino sulla riva
in questa luce augurale che apre
la coincidenza dei tempi
una sposa venirmi incontro
sorridermi con il suo lasciapassare dal mito
la manocarezza sul ventre
come fossi sua madre le chiedo
il tempo del parto
Sardegna, Portu Tramatzu