Recensione Marcello Carlino


In Other Signs, Other Circles di Annamaria Ferramosca è in evidenza un percorso poetico di forte coerenza, tanto controllato e rigoroso quanto emotivamente necessitato e coinvolto, tanto affidato alle correnti ascensionali dell’astrazione significante e simbolica della parola quanto preso e risucchiato nei movimenti convettivi e nei vortici rapinosi della corporalità del vissuto. V’è infatti una energia proiettiva, in questi versi, tenuta in bell’equilibrio con una forza gravitazionale che tira verso la concretezza dell’esperienza, o l’esserci volta per volta qui ed ora.

Da una parte sta, pertanto, il desiderio di lasciare un segno, come una pietra che resiste e che magari si fa tabula miliare, così che la scrittura si vuole incisiva, definitoria (e volge inviti persuasi al lettore; e si presenta come foglio di un lunario che raccoglie utilità e moralità; e gli indirizza lettere augurandosi muti avvisi di ricevimento). Dall’altra sta un tenersi del testo ad una presenza, a un luogo, a una terra, ad una notte che senti nella loro fisicità, nel loro prodursi, nel loro accadere (l’intrudersi materico e l’avvoltolarsi in materia li percepisci, come in previsione di un incidente probatorio, nell’esplorazione micromolecolare o nell’ingrandimento di catene genetiche cui alcune pagine sono dedicate); e vi misuri il valore (anche “politico”) del con-dividere, dell’essere sé con gli altri: un valore consegnato alla mediterraneità che torna da leitmotiv (una mediterraneità in cui l’io si fa plurale; un io femminile plurale – in una mediterraneità femminile – che rivendica natali e residenze in una pluralità di terre, in un ideale incrocio di luoghi), ovvero trasportato dalla danza (la taranta che dura una notte intera e riporta l’alba; e pure il ritmo stesso danzante delle battute del verso) e dalla musica, mentre la scrittura si rende più sinuosa e sensuosa, analogica, espansa in congiunzioni parasintetiche e metamorfiche, interessata ad allacciamenti sinestetici.

E gira il verso, così, e si fa cerchio, volendo riconoscere senso alla rotazione della terra, che sembra non averne.

Un equilibrio dinamico in sostenutezza di pronuncia, ottemperando al grande stile: ciò si ridice nelle strutture binarie, nelle forme dialogiche come di testi a fronte conferiti a due voci che s’accordano: per una performativià che si promette, per un essere in situazione che si mostra e si partecipa come in un rito, in uno scambio simbolico.

Marcello Carlino   (da corr.privata, inedito)