Annamaria Ferramosca
Curve di livello
Ancora siano i segni
Ancora siano i segni sulle rocce
a dischiudere il tempo
profili di guerrieri e bisonti
in corsa, sotto un piccolo sole
in forma di stella
ansanti
per chilometri brillanti di pioggia
profili di automobilisti e tir
sommersi da onde radio
vibra
un dolmen poco lontano
con forza immobile
convoca mani e rami
Tre pietre
– minima famiglia sfuggita al diluvio –
in silenzio guardarle nella notte
accostando l’orecchio al tronco dell’ulivo
sentirsi roccia linfa voce
arca approdata e fusa in terra
Ancora siano i segni sulle pagine
a traghettare il tempo: lontanissimi
lembi di cielo pulsanti sulle onde
inondano lo schermo, si raggiungono
Dammi parole dunque, e segni
piangi sulla mia spalla, o ridi
offrimi le scene della gioia
incontrami
prima che si diradi la foresta
prima che accada il nero errore
prima dell’ultima risata
( la ruota della terra
è il suo continuo ridere, convulso )
Sull’ottava elegia di Rilke
La casa ha finestre sul mare
per ricordare l’origine
il vortice la calma le vele millenarie
i ritorni che volgono in commiati
partenze per altri oceani
Il giardino ha pini d’aleppo e olivi
per ospitare chi non sa della morte:
insetti e uccelli, volpi
notturne, a volte – immobili-
guardano anch’esse il mare
come per un abbaglio misterioso
– gli animali mai fissano
la morte negli occhi –
noi l’abbiamo a fianco e miopi
vediamo il cielo accendersi di fuochi
e i luoghi dove
lei ciecamente piove
La rosa veloce sfoglia
in silenzio le spine si preparano
a penetrarci le carni
il mare a sommergere il disordine
gli abbracci misti a spari nonostante
l’angoscia suonata a stormo
dalle cicale sui rami
Dai pini volano
rondini al sud, imperturbate
Mediterraneo
Marina Serra. *Assalto
di un’alba nitida, capace
di spingere i monti d’Albania
fin qui, sotto il balcone
Posso toccarli quasi
fianchi verdi e radici
intrecciate alle mie
Da costa a costa
scintillano di senso le correnti
lu rusciu de lu mare *
canta in mediterraneo
Potevo essere nata su quei monti
e mia madre avermi lavata nel canale d’Otranto
nutrita con zuppa d’alghe e filastrocche di Lushnje
potevo trovarmi in quella barca
così traboccante di speranza
che i fianchi non reggevano al rimorso
Mi trovo in quella barca, sono
albanese, pure
messapicagrecaegizialibica
il mio sangue è incontro d’onde
paziente e antico
( continua a mescolare
questo inascoltato mare )
* località sulla costa adriatica del Salento
* sciabordìo del mare ( dialetto salentino )
Lost, lost
Lost, lost – mi sveglio
col verbo che pulsa sulle tempie
il bite rimorso che addolora le guance
– lost, lost – che cosa
rimane della notte se non
precipitarsi dietro
la porta appena chiusa
col suo sentore di foglie, fuori, e d’aria
– lost, lost – dal sogno
barbagli del miraggio:
dalla miniera carrelli luminosi
traboccano di metallo
( acciaio per incidere
ogni parola-nascita, ogni nome-sussulto?)
Altrimenti
solo resti di armi
tralicci, rottami
d’auto, schermi
schemi dell’ homo velox ferox
– lost, lost – perduti
il canto dell’errante pastore
la veste di Gongila
le incessanti lanterne
l’inchiostro vitale
il nostro pianto utopico ?
Forse con una donna
Lasciarla far luce
con le sue lanterne, vigile
sulle alte mura trasparenti
lasciarla apparire e sparire
come lei vuole
dosare i richiami
perché possa appartarsi
in qualche sua giungla di luna
Forse con una donna
disperata di te, del tuo mondo
non serve dividere corone
meglio farsi esuli insieme
navigare con lei navicella lunare
approdare su placide ginecosfere
dove lei è dispensiera
di pane e parole
Forse con una donna
sentire più spesso stupore
che istupidimento, soprattutto
quando dalle macerie risorgono
lentamente i villaggi
illimpiditi dal pianto e lei
ricomincia a parlare alle rose
Forse con una donna
ridere insieme
della tua enfasi e imperfezione
lei complice custode
di pienezza e inquietudine
del riso e del pathos
che non debordi
nel suo patimento
Ti immerge
nella morbida offerta
tu colmo di lei le correnti
inverti al tuo mare, dissenti
dal banditore che eri
( ora più aperte sul mondo le porte )