Annamaria Ferramosca

IL VERSANTE VERO



Istanbul


Se i minareti allungassero l’ombra
dipanassero fili di garofano blu
fin  nei capelli
di questi sciuscià disincantati
vuoiscarpecomestellemillelire
si fermerebbe il tempo
all’angolo vergogna
dell’hotel Mercure.
Franerebbe il tempo
con ali stupefatte
sul  tappeto
dei pentimenti.

E Beyoglu
risuonerebbe a un tratto
di giochi  e grida
correre a rompicollo
sfidando la prua delle navi sul canale
cercare lungo i fossi
canne robuste
verdi da scortecciare
poi via sul ponte a pescare
uva di Smirne in tasca
fino al tramonto.

Vedrebbe il Corno d’Oro
ancora i suoi riflessi
nei capelli vaniglia
nei guizzi all’amo
nei lampi
dell’orgoglio bambino.

A sera affonda
il Gran Bazar dei sogni
in polpa di meduse
sultani smeraldini
come ramarri
dagrandevogliofarecapitanomercantepescatore

Sul cuscino
anice e zafferano.



La piazza delle vinte tarantole


abbiamo altre parole questa notte:
un corpo musicale,
a vendicare il tempo
passato senza fuochi
abbiamo l’alba
che batte su pelli tese in sarabanda,
furore d’argento sugli olivi,
fino al mare – l’eco
ingelosisce le grotte –
piedi
a scandire colpi d’amore sulla terra
e tuoni
a dissipare tutte le aracnitudini

in piazza l’aria
è disegnata di spade con le braccia
le ragazze scintillano la terra
dove ballano
volano i cerchi delle gonne alla luna
s’incendiano i tamburi. fino a sangue
(a sciogliere i cani ritmici, all’unisono,
si sfianca la paura)

*E’ una piazza del Salento dove,
nella notte di ferragosto, tutta la popolazione è coinvolta in un ballo
liberatorio collettivo, di lontanissima origine dionisiaca,
al suono ipnotico dei tamburellisti.



Accade di vedere


Come incastonata
sulla porta marcita
una falena tremante (un pezzo d’ala falciato
piccola vuota tessera nel mosaico)
aspetta la fine
beve un ultimo raggio

Sorda agli inviti
sa di obbedire al rito
In bilico dignitoso:
già sugli occhi il velo

che fa opachi i ricordi
già le luci del dopo
sfolgoranti
(celebrano, in lontananza, la festa del patrono)

Ora
rigida e inerme.
“Resisteva anche ai fuochi d’artificio”
appare sulla minima lapide.

Anch’io vorrei resistere
ai vuoti d’artificio
Cedere
ai veri fuochi.



Ninna nanna all’incontrario


Dormi
Ti canto il cielo
Ride
con luci piccole, infinite
come le storie piccole del mondo
Spande per te gocce di latte, avvita trottole
Una s’accende, lanterna serena del tuo giro

Dormi
Ti canto il sole
Batte
danze di fuoco accordate
al ritmo del tuo petto
Ma è difficile imitare la musica di un’alba
E tu lo vinci
ché troppo forte è il tuo abbraccio alla vita

Dormi
Ti canto l’uomo
Perdo
le parole. Non so più cantare
Si fa convulso il volo di colombe sul tuo capo
Forse le città troppo scintillano
Troppo alti i fuochi che devastano
Non ricordano di poter scaldare
Si interrompono i ponti. E le parole

Anche se dormi
canta
Tu solo puoi cantare
dalla regione dell’arcobaleno,
ponte comprensibile
che unisce tutti i nidi di colombe
La tua canzone ferma il dio veloce
che inebetisce sguardi
e spegne i fuochi teneri
delle parole
Tu solo li ravvivi,
tu che non smetti
la cantilena noiosa-grandiosa dei perché
Perché i fuochi incendiano, i ponti crollano,
le parole non parlano, perché?



Europa Europa


Tu che percorri Europa, lungo i fiumi
che addolciscono le anse, lentamente
come i vecchi arrochiscono la voce
anno dopo anno,
non ti intenerire

Guarda in faccia
questa Europa civile
e i suoi rigurgiti
scolpiti in palasport
Si imbelletta
di stadi e ardite gallerie
e ammicca dal video in una lingua
a kirghisi e normanni

Sì, eravamo fratelli
(abbiamo ancora frantumi
di geni alla deriva dalla valle dell’ Indo,
ma imbattibili, bianchi e con varie
coloriture di primato)

No, non bastano, Europa,
splendenti demoni tecnologici
o prodigi multimediali
a sostenere
lo sguardo naufrago
della bambina curda sulla costa
occhi che sommergono il cielo

Europa, Europa,
che passi oltre l’immagine?