tre poesie da “Andare per salti”
Dalla sezione Per salti
zoom su tutte le città ferite a morte
nella polvere scompaiono le scene come fossero
bagliori di una notte mai trascorsa
se mi abbracci anche una sola volta
la guerra scompare
abbracciati fuggiamo dagli scannatoi
da chi sogna di farsi cadavere tra cadaveri
abbracciati fuggiamo dall’empietà
di ricondurre i corpi negli spazi della prenascita
ci guardiamo nel fondo nero del bosco
confusi abitanti del caos
boia e animali sacrificali
mentre il fiotto soffoca il respiro
dei boschi dei nidi
di ciò che resta delle case
dove avevamo in mente di ritornare
come spiegheremo ai figli l’allarme ininterrotto
se non sotto una maschera di vergogna
chi ritirerà la posta dalle cassette
mentre le arance rotolano dal cesto?
nota — L’espressione in corsivo è tratta da Il cieco canta alla sua città, in Poesia al femminile, Abdulah Sidran, Edizioni Saraj, 2006
Dalla sezione Per tumulti
a Saffo posso rispondere solo per frammenti
Afrodite amica al mio fianco
le sue dita —- tocco
che abbrivida le aree cerebrali —-
che s’immergano pure
nei più nascosti umori nelle cellule
—- soffio estrogenico—- imbeve
pelle respiro aria che muove
a Gongila l’orlo della veste e sommuove
sottilmente erose da eros
noi —- potenza-luce che oltrepassa il tempo
canto indelebile —- sfama le Muse —-
canto ci sorprende
sull’ultima nota a labbra aperte
gli occhi rovesciati —- in alto
l’arco di lunartemide intatto
non odio più le rughe che verranno
se tempo e lontananza non ti annullano
va’ pure, arriva lo sposo febbrile (imeneo)
raccoglierà fiori d’oro (imeneo)
si abbatte su me la notte
ma in sonno—-
ruota una nuova luna—- dormo
sola ma non sono sola
Dalla sezione Per spazi inaccessibili
area domestica con segnali
in ombra queste dita inumate nella carta
l’imprecisione del profilo dei monti oltre il vetro
nella nebbia il ponte che frana e quei visi
esposti all’insulto dei naufragi
avevi spalle robuste
e la sana ironia che alleggerisce il giorno
voce rassicurante siamo avanti avanti
verso incredibili traguardi la tavola di Mendeleev
ancora saltellante di vuoti luna e marte in attesa
silicio e robot e bellissimi i nostri profili ibridati
nei campi l’humus intossicato
là dove le radici geologiche dei passi
s’allungano di sete verso i pozzi in seccume
riarsa di sangue la terra
la carta pesta e dimenticata
come i graffiti sulla roccia
smunti arresi
questa la fine della nostra casa?
cerchio di fuoco allo scorpione?
il televisore di là rimasto acceso