CICLICA



Dalla 2^ di copertina:

Ad un nodo e ad uno snodo dell’epoca, nella ‘notte artica’ delle ere tutte e delle lingue, le individualità più avvertite si mettono in gioco affrontando un ‘viaggio del disorientamento’ fisico e sensoriale, cognitivo e metafisico, toccando mondi e orizzonti, mappando bussole e atlanti, registrando gli ‘urti gentili’ per il ‘rompersi dei meridiani’, nello sfaldarsi dei sistemi planetari come pure dei rapporti umani sulla nave alla deriva: ‘l’isola disperata che siamo’. C’era bisogno di una lingua nuova, esposta alla babele dei ‘mille alfabeti’, predisposta alle ibridazioni, all’ospitalità senza preclusioni di sorta. Una lingua contaminata e meticcia, esposta ai venti di novità, al ‘soffio multilingue‘, tra geologia e biologia, tra techne e Angelezze: c’era urgenza di una lingua che si facesse carico del vento di novità ipertecnologico e virtuale, scientifico e sensibile, fisico e corporeo, e che nondimeno registrasse sopravvivenza e insorgenza dei realia, di ‘tutto il rumore del mondo’. In questa affascinante Cosmogonia, Annamaria Ferramosca, con una lingua duttile e sinuosa, spesso affidata a neologismi, erige una congrua neo-lingua e una neo-sintassi della poesia da opporre al Caos, al ‘disordine che dissipa’, tra immagini ritornanti nel cyberspazio di navi egizie, ferite a Gaza, misteri di sorrisi etruschi e presenze su altipiani etiopi.  Nell’esperienza erratica e ontologica, una deambulatoria Ulisseide tra partenze e ritorni, agnizioni e preterizioni, si colgono gli elementi ciclici e vitali di persistenze e di novità tra ‘microguglie sensoriali’ e ‘vigna-nadir’; input e feedback, continuità e trasformazioni nel magma della metamorfosi incessante: e sono migrazioni e ritorni tra corpo e spazio, nascite e rifondazioni tra suolo e cosmo, botaniche rifioriture e neo-gemmazioni tra ‘animule’ e ‘anime lingue’. Le nuove parole e le nuove voci ‘come di un’alba o di un vagito’.Manuel Cohen


Brani critici:

Ciclica, Edizioni La Vita Felice, è l’ultima fatica di Annamaria Ferramosca, poetessa e divulgatrice che non ha bisogno di presentazioni. Un libro denso e maturo, che restituisce ai fortunati che vi s’imbattono la figura di un’autrice alla costante ricerca di significato, di logos. I suoi testi,  curati, levigati e spesso dolorosi, sono messaggi nella bottiglia lanciati in un mare d’oblio, senza tempeste, vuoto, sulla cui superficie vibra a tratti il riflesso della luna. E a noi, “nomadi corpi notturni”, non resta che ammirare l’orizzonte trattenendo il respiro. Fabio Simonelli (Poesia, Crocetti, luglio 2014)

…CICLICA mi sembra una struggente meditazione su vita e morte, una autentica rinascita, pur conservando accenti da contemplazione del mondo: la morte dell'Occidente, il tramonto spengleriano di un'intera civiltà, il carattere entropico di questo feroce capitalismo globalizzato vengono inseriti nella progressione testuale senza retorica e facili sociologismi (da sempre Annamaria Ferramosca persegue questa naturalità espressiva polifonica, multiplanare, agglutinante). Qui si affronta il ciclo bio-cosmico restituendo a ogni individuo la sua sacralità, reinserita nel recinto divino della natura, oggi ridotta a fondale. Soprattutto quando la poetessa evoca natura e radici raggiungendo altissime vette espressive, la forma e l'intento espositivo si fondono in un dettato che a tratti commuove. Donato Di Stasi (dalla pres.ne, libreria Fandango, 16 maggio 2014)

In un gioco finissimo di accenni e di chiamate, la ciclicità del modularsi del testo prende e lascia la circostanzialità puntuale dell’accadere, il venirci incontro dell’esperienza e il profilo del mondo che vorremmo abitare, il sogno di una cosa e l’orrore del presente con le sue pubbliche deputazioni, con il suo “gergo”. L’effetto è quello di una sequenza poematica di forte suggestione, che ci porta altrove, nello slargo del mito tra le radici e il cosmo, mentre è profondamente coinvolta in una autoanalisi della poesia e dolorosamente innestata nel tempo a cui apparteniamo. Marcello Carlino (corr. privata, gen. 2014)

Gioca immediatamente a carte scoperte Annamaria Ferramosca nei primi versi di Ciclica: “Scelgo mi piace e condivido / soltanto se / la posa non è teatrale” è già una dichiarazione di intenti, una necessità di comunicazione vera, profonda, che si rivolge ai valori e non alle apparenze, “dimmi se chiami per conoscermi o solo / per riconoscerti”, dimmi che cosa cerchi e perché lo cerchi. Non è un rifiuto della contemporaneità, tutt'altro, anzi la lingua di Annamaria Ferramosca la fa propria, conia neologismi, utilizza il linguaggio dei social network e dei files, ma proprio grazie a quella lingua così attuale esprime il rifiuto della frammentazione in bisogni secondari, preferendo piuttosto decomporre tutte le domande in unità-base, avanzare per capire a piccoli passi, in modo da cogliere frammenti della sostanza primigenia da cui siamo costituiti, cercare “nel mosaico la mia tessera /di terra cruda”, consapevole di seguire “le vie del dis-incanto che / vorrebbe dal caos ritornare stupore”. Francesco Tomada ( giugno 2014, prox pubbl. su L’almanacco del ramo d’oro)

Il cerchio è un elemento che riporta al femminile, all’utero, alla grotta, ma che nella poesia di Ferramosca acquisisce un valore sacro, civile. Vi è tutta una circolarità in questa poesia, come in quella precedente di  Curve di livello e di Other Signs, Other Circles. È soprattutto una circolarità essenziale di uomini e donne raccolti intorno al fuoco, nella condivisione del pasto, del racconto, della poesia («un tempuscolo rovente che accenda/ la permanenza stabile del coro/ torremadre inattaccabile dove/ le lingue si traducono solo sfiorandosi»). Ferramosca sfida la curva del tempo, la piega fino a farci toccare la comunanza dell’essenziale, l’essenzialità del graffio, dell’incisione sulla pietra. In questi inediti la poetessa sembra soffermarsi e riflettere sul linguaggio come suono della bellezza, come luce del senso prima ancora che come logos capace di definire e razionalizzare. Luca Benassi (Almanacco Punto, puntoacapo, 2014)

La saggezza persuasa di Ferramosca salva le cose (e le parole-quasi organo del corpo) non dal loro mutare, ma dalla bestemmia di un tempo orientato e centrifugo. Così, in chiusura, il mutamento dice un pacificato dolore del ritorno con la pacatezza gentile di un ponte che congiunga gente, paesaggi, vite, età nello spazio tra due sponde. Attraversarlo è ritornare e il ponte si fa parola e, nel mondo, lo sfiorarsi della lingua è fenomenologia di un credo saldissimo: che il ponte sia anzitutto dimora. Luca Pasetto (dalla motivazione del Premio Anna Osti - Raccolta inedita 2013, poi confluita in Ciclica)

Il libro si apre con la necessità di scegliere dentro la confusione di facebook, entro un mondo ipertecnologico che sfalsa le relazioni. Il contatto diventa così contagio malefico; l’occidente tutto, invero, contamina il mondo con il suo tramontare “senza ritorno di alba”, lo travolge. “L’insulto alla terra” è costante e, proprio per questo, noi dobbiamo ripensare il paradigma dello sviluppo, l’irrazionale equivalenza tra benessere e felicità. Stefano Guglielmin (blog blanc de ta nuque, settembre2014)

Ciclica è, fin dal titolo, libro in movimento, lucrezianamente cosciente del moto perpetuo insito nella materia stessa, e non solo: molti i rimandi possibili e penso a Heaney, per esempio, un autore di riferimento per Ferramosca ,scrittore di libri in cui si esercita uno sguardo sempre aperto ed avido su altre terre e sulle innumerevoli rotte del mondo.…quella di Annamaria Ferramosca è una ricerca sia poetica che etica, sia umana che civile e sono convinto che “Erica delle domande”,  sia una proiezione dell’autrice, lei stessa “girovaga” sia in senso figurato che reale.Mi sembra di cogliere in questi versi l’augurio che siano molte le “Eriche” curiose del mondo e degli altri, così coraggiose da spingersi fino a Gaza per reclamare la fine dell’indemoniato odio. Antonio Devicienti ( blog Carte Sensibili, agosto 2014)

Il titolo della raccolta conferma le premesse: si tratta di una scrittura a tutto tondo – scorrere ampio e soste meditate – animata da musica e ritmo che conoscono la variazione e non nascondono, tuttavia, l’aderenza, fedele e coerente, a uno stile sicuro e inconfondibile. Annamaria Ferramosca raccoglie la sfida dell’inusuale, coglie il senso della creazione di parole nuove e nuove combinazioni per dirlo. …Non c’è mai comoda concessione all’oscuro per maniera, al confuso per convenienza. Di tutto questo non trapela alcuna tentazione, né, tanto meno, la ricerca si fa altezzoso deposito di certezze incrollabili. Scrittura per A.F. è sempre coscienza del dubbio come compagno di viaggio. …I testi di Ciclica costituiscono a questo proposito una  tappa significativa di un progetto, in progressivo formarsi, dalle vaste articolazioni dove A.F. sa alternare e far risuonare, in partiture animate, coralità e voce solista. Anna Maria Curci ( blog poetarum silva, maggio 2014)

Ciclica appartiene a quella classe di libri che appaiono scritti dalla forza motrice della parola. Una parola che annuncia se stessa trovando da sé la strada che la induce energicamente ad essere: “da sé facendosi luce” (pag. 29), ad espandersi, dunque,  in profondità ed estensione nelle corde interne del lettore.Ci sono libri che “nascono” da una Ferita. Da una Ferita aspra e densa, più antica di noi, che sgocciola sangue sulla pagina, ma una ferita, anche, traboccante di “umori fertili che premono sulla fioritura” (pag. 70) dichiarata  in ogni nuova rigenerazione.  …La parola poetica, per Annamaria, è paradigma di incontro reale tra i suoi simili e tra i diversi, è una parola fondante che fa leva sulla forza intrinseca di una civile passione che chiama ad alta voce, che invoca, annuncia, si infervora, che esige riscontri non approssimativi in un’ottica comune di solidarietà e giustizia. Marisa Papa Ruggiero ( sett.2014,  Rivista Levania)

Questa nuova opera di Annamaria Ferramosca allude continuamente al fluire della vita. Il mondo entra nel libro con la stessa forza con cui il libro, nello scrupolo di comunicare con un linguaggio profondo, eppure mai criptico, entra nel mondo. Uno sguardo, potremmo dire, adeguato a un’identità poetica meticciata, accogliente, aperta alla realtà e pronta a lasciarsene attraversare.…L’autrice affronta così, con pochi tocchi simbolici e semantici che continuamente si richiamano, la grave questione del sud come parte offesa del mondo e su questa consapevolezza s’innesta un’utopia possibile, che è prima di tutto capacità di reindirizzamento dell’occhio e della voce. Alessandra Paganardi ( ott. 2014, prox. pubbl. su Il Segnale)